POLITICA AGRICOLA COMUNE SOTTO ACCUSA – IL PUNTO DELLA SITUAZIONE

In questi giorni una protesta veemente ed univoca sembra levarsi da tutta Europa. Comprendere a pieno le ragioni del dissenso non è facile poiché il quadro della polica agricola europea risente di forti condizionamenti esterni e necessità prima una fondamentale premessa.

Esiste un denominatore comune dietro le proteste degli agricoltori in Europa: la Politica agricola comune (Pac) dell’Unione. In sintonia con il Green Deal europeo, questa politica ha destinato il 30% delle risorse a iniziative ambientali riducendo il budget dei sussidi agli agricoltori e ha introdotto restrizioni su alcune pratiche, come l’uso di prodotti fitosanitari e fertilizzanti dannosi per l’ambiente e la qualità del cibo, che secondo gli agricoltori hanno provocato un innalzamento dei costi di produzione.

Gli agricoltori in protesta (che sono una parte di questo settore) e i loro rappresentanti attribuiscono l’aumento della burocrazia alle iniziative dell’Unione europea, in particolare al Green Deal e alla sua iniziativa principale “Farm to Fork“. Nel 2020, quest’ultima ha introdotto obiettivi ambiziosi, tra cui la riduzione del 50% dell’uso di pesticidi e del 25% dei terreni agricoli biologici entro il 2030. Questi obiettivi, sebbene mirino a promuovere la sostenibilità ambientale e la salute, sono stati criticati dagli agricoltori per la complessità delle procedure richieste per conformarsi alle nuove normative. La percezione è che tali misure impongano un carico amministrativo significativo agli agricoltori, contribuendo così all’aumento della burocrazia nel settore agricolo.

Altro terreno di scontro riguarda l’importazione di prodotti a basso costo da prodotti extraeuropei. Per esempio il grano coltivato in Canada, dove si fa ampio uso del glifosato, o quello ucraino che che grazie al corridoio del Mar Nero garantisce prodotti agricoli in Europa ad un costo estremamente basso. Secondo un report dell’Ispi, l’Istituto di studi di politica internazionale, l’inclusione dell’Ucraina tra i beneficiari dei fondi Pac costerebbe ben 97 miliardi di euro, più dei 72 miliardi che riceve complessivamente la Francia. Nel mirino delle proteste anche la carne coltivata in laboratorio e l’impiego di farine di insetti.

Un degenerazione del sistema della politica agricola europea che richiede in effetti una premessa.

All’epoca della stesura del Trattato istitutivo della Comunità economica europea si ritenne opportuno riservare un trattamento differenziato al settore primario rispetto a quello secondario e terziario; infatti, per questi ultimi la previsione era sostanzialmente solo quella di garantire la libera concorrenza e di impedire la creazione di monopoli e di posizioni dominanti che abusassero dei loro vantaggi, nel settore agricolo si stabilì che non  si potessero lasciare dipendere dal libero gioco del mercato i redditi gli agricoltori, numerosi e deboli, oltre che produttori di beni assoggettati al così detto “doppio rischio”, cioè del mercato e del clima.

A causa di tale convinzione il titolo sull’agricoltura del Trattato di Roma fu formulato prevedendo interventi al fine di “incrementare la produttività  dell’agricoltura”, “assicurare così un tenore di vita equo alla popolazione agricola”, “stabilizzare i mercati”, “garantire la sicurezza degli approvvigionamenti” e  “assicurare prezzi ragionevoli nelle consegne ai consumatori” (art. 39 del Trattato CEE). In definitiva, si convenne sull’idea che il settore primario fosse, come ancora è, diverso dagli altri settori produttivi.

La PAC ideata nel 1960/62 e restata sostanzialmente immutata fino a quasi la fine del secolo scorso, si caratterizzava per un forte interventismo a protezione dei prezzi dei prodotti agricoli, cosa che ha consentito all’Europa comunitaria di diventare una grande potenza alimentare e di rispettare l’art. 39 del Trattato CEE, migliorando le condizioni di vita degli agricoltori, favorendo lo sviluppo della produttività in agricoltura, garantendo gli approvvigionamenti e evitando sbalzi nel prezzo dei prodotti destinati ai consumatori.

La PAC, riformata improvvidamente nel 2003, con lo scopo di favorire un rinnovo dell’Accordo agricolo contenuto nel Trattato di Marrakech ha rovesciato l’originaria impostazione come segue: favorendo la riduzione delle produzioni agricole; eliminando le protezioni che stabilizzavano il mercato dei prodotti agricoli con la conseguenza di portare gli agricoltori europei a confrontarsi con i produttori del mondo, che hanno palesemente costi di produzione del tutto diversi (e gli agricoltori, se de localizzano le loro imprese, abbandonano i terreni europei); rendendo precarie le condizioni di reddito delle imprese agricole e dei loro imprenditori; permettendo che il mercato europeo sia assoggettato, per i differenti prodotti, a sbalzi che non garantiscono prezzi ragionevoli ai consumatori.

E’ facile tirare le somme di questa scriteriata politica che nelle regioni europee più vulnerabili come la Sicilia ha determinato negli anni la polverizzatione delle produzioni agricole locali.

Facciamo un esempio per quanto riguarda il grano per i non addetti ai lavori :
Immaginiamo di vendere il grano prodotto quest’anno. Dopo estenuanti trattative il prezzo convenuto con il commerciante e’ ritornato a 20 Euro/Q.
Ebbene, facciamo un conto. Un ettaro coltivato a questo cereale costa circa 1388 Euro. Il ricavo, con una produzione media di circa 28 Q./Ha, a 20 Euro/Q: (prezzo di vendita) e’ di 1022 Euro/ha, compreso del contributo AGEA. Perdita netta: 367 Euro.
Tra le tante spese non e’ compreso , in questo conteggio, quella del gasolio agricolo, che viene assegnato secondo tabelle, ormai obsolete, per cui, l’agricoltore , per completare i lavori, tante volte, deve ricorrere all’acquisto di quello di autotrazione naturalmente ad un prezzo di gran lunga superiore. In tutto questo il prezzo dei mezzi tecnici (Concimi, diserbanti ecc…) aumenta vertiginosamente.
Va detto che l’integrazione al reddito, quando fu definita, fu calcolata in base alla produzione dei tre anni di riferimento precedenti. Ironia della sorte, la Sicilia produsse poco e niente in quel periodo per la siccità e quindi si attestò sui 250 Euro.
La questione manodopera, poi, ci ha ulteriormente disastrati. Buste paga con assegni o bonifici tracciabili con paghe sindacali assolutamente fuori mercato. Si arriva a circa 90/100 Euro di paga giornaliera inserendo i contributi INPS che continuano ad aumentare ed il costo delle visite mediche.
Vanno bene i controlli dell’ Ispettorato etc. Ma, ditemi : come si può pagare un operaio a quasi 90 Euro al giorno , se e’ specializzato anche di piu., se i prezzi attuali, da anni, non riescono a soddisfare le spese di produzione ? A questo si aggiunge che, quando viene erogata la compensazione al reddito dall’AGEA, con pesanti ritardi, la stessa viene a monte decurtata da ingenti tagli per cartelle INPS, Equitalia e quant’altro.
Poi abbiamo l’esibizione del certificato antimafia per ricuotere il saldo del contributo comunitario al di sopra de 25.000 Euro, certificato che, nella migliore delle ipotesi, arriva dopo 6 mesi.
E già, in Sicilia, siamo tutti mafiosi salvo a dimostrare il contrario. Ma non dovrebbe essere lo Stato ad evidenziarlo? Boh……
Come sopra descritto non resta nessun reddito e,anzi, si va in grande perdita.
Tutto ciò causa il fallimento delle aziende che si indebitano pesantemente con gli Istituti di credito ( o con gli usurai…) e, non riuscendo a pagare le rate, sono pieni di decreti ingiuntivi e devono cedere i loro terreni e, talvolta, le loro case,che vengono svenduti all’asta con prezzi assolutamente ridicoli (tanto alle Banche, salvate con i nostri soldi…,interessa recuperare il capitale, pur avendo ipoteche per 2, 3 volte superiori al valore del debito).

Parliamo della zootecnia. Disastro totale per quanto riguarda i bovini. Regole sanitarie pesantissime e costose. Occorrerebbe, per prima cosa istituire un distretto sanitario unico, con regole e procedure di movimentazione all’interno della nostra isola. Un nuovo programma di vaccinazione per la brucellosi, limitatamente alla linea vacca /vitello, su base volontaria. Sarebbe anche necessaria l’autorizzazione delle transumanze previa comunicazione e con controllo nel territorio di destinazione in modo da saltare quello di partenza, visto che, le aziende transumanti, sono legate alle condizioni di clima e di foraggi quindi non prevedibili.
Considerate che in tutti i territori (sopratutto montani) che non si prestano alla cerealicoltura, si vive solo di pascolo estensivo.
Anche facendo riferimento agli allevamenti di ovini la situazione e’ catastrofica, considerando : le condizioni di un allevatore, il tempo che impiega per il proprio gregge , e vista la situazione che si e venuta creare da decenni di totale assenza delle istituzioni che si sono solo preoccupati di firmare accordi con l’Unione Europea, non tenendo conto della nostra situazione.
Considerando un esame dettagliato per un allevamento di ovini medio : la spesa complessiva per capo di Ovino e’ di circa 298,00 euro annuo con un
ricavo di Euro 98,00 a capo. Si ha una perdita di 200,00 euro annuo a capo.
L’allevatore, per sostenere tutte le spese, e’ costretto a vivere in condizioni disumane, non riesce ad onorare i pagamenti dei contributi inps, delle rate agrarie e quant’altro serve per mantenere allevamento.
Nemmeno un minimo di reddito ma copiosa perdita netta. Bisognerebbe intervenire su diversi fronti a cominciare dal ripristino dell’indennità compensativa, del prezzo del latte adeguato e tanto altro……
E che dire degli ortaggi, degli agrumi e dell’ortofrutta in generale ?
Prodotti lasciati marcire a terra per non perderci anche il costo della raccolta. Per non parlare dei carciofi, non certo per qualità uguali ai nostri, che ormai arrivano a prezzi bassissimi dall’Egitto e dalla Cina. La situazione dei Consorzi di Bonifica e’ poi più che disastrosa. Spese immani, reti colabrodo, che non consentono l’utilizzo dell’acqua agli agricoltori, che sono costretti a pagare lo stesso, le tariffe anche se non utilizzano l’acqua. Una riforma annunciata da più di un decennio che
ancora non e’ partita.
A tutto questo enorme disagio che persiste da anni, si aggiunge una viabilità fatiscente, che non permette quel poco misero commercio dei nostri prodotti di essere ritirato da mezzi ma tutti gli agricoltori. pastori sono costretto ad affrontare ulteriori spese per spostare dalle proprie aziende i loro prodotti in posti accessibili ai mezzi”. Questa situazione grava sui sindaci che devono con poche risorse rendere accessibili le strade interessate a volte da frane e smottamenti.
Al nord pensano alla TAV per risparmiare 20 minuti di tempo nel tragitto, alla quinta corsia se non alla sesta e, qui, per raggiungere un’azienda ci vuole il trattore….
Bandi per il rifacimento delle strade poderali annunciati ma mai partiti. Mi diceva un tecnico che l’ultimo e stato fatto 20 anni fa, eppure, nel PSR i
fondi dedicati ci sono….
Tutto questo, naturalmente, causa la contrazione delle coltivazioni e l’indebitamento, con le conseguenti procedure esecutive di cui sopra.. Ci dica la politica come si può fare e cosa ci consiglia. Noi abbandoniamo…..I nostri giovani emigrano lasciando l’atavico lavoro;
senza dimenticare che, l’agricoltore, e’ il primo guardiano dell’ambiente.

La Politica, totalmente assente, ha contribuito a mettere in ginocchio questa categoria. Il malessere diffuso, causa l’abbandono dei fondi e qualche volta, anche la vita…. e ne abbiamo già parlato.
E’ da sottolineare che i prezzi sono determinati dall’importazione di prodotti di scarsa qualità e, comunque, non paragonabili ai nostri, come i pomodori dal Marocco , o dalla Cina, il ciliegino dal Kenia, che, a parte i costi di produzione bassissimi, contengono sostanze e pesticidi proibiti (risulta che, in Africa e Cina, usano ancora il DDT…. che le multinazionali della chimica vendono in questi paesi per esaurire le vecchie scorte), o il grano Canadese, Ucraino (anche da Cernobyl, il cui territorio, dicono gli scienziati, e’ inutilizzabile per decenni a causa dei residui atomici), Kazako etc. Per non parlare dell’olio Tunisino, recentemente arrivato in Italia e delle carni di importazione che contengono estrogeni ed antibioticivari….Paesi dove la manodopera, trattata in maniera disumana, costa 10 volte meno che da no.

Nel resto d’ Europa le ragioni delle proteste agricole sono diverse, ma condividono un comune denominatore: il crescente divario tra le decisioni prese a Bruxelles e le pratiche agricole sul campo. Vediamo di sintetizzare le richieste dei manifestanti:

  • Revisione dei prezzi all’ingrosso: i costi delle materie prime come sementi e concimi hanno superato i guadagni delle produzioni, rendendo vano il lavoro degli agricoltori.
  • Minaccia dell’introduzione di carne sintetica e cavallette: la prospettiva di coltivare cibi alternativi e insetti mette a rischio migliaia di aziende zootecniche.
  • Resistenza agli impianti fotovoltaici sui terreni produttivi: gli agricoltori si oppongono all’utilizzo di terreni fertili per impianti di energia rinnovabile, come pali eolici o fotovoltaici.
  • Ripercussioni immediate del Green Deal europeo: le misure ambientali del Green Deal stanno causando blocchi nella produzione di grano e mais nel 2024, favorendo le importazioni da paesi con standard ambientali divergenti.
  • Possibile taglio dei sussidi al gasolio agricolo entro il 2026.
  • Obbligo di lasciare incolta il 4% della superficie agricola.
  • Prezzo equo per i prodotti agricoli: gli agricoltori chiedono una remunerazione adeguata considerando il loro contributo significativo alla filiera agroalimentare. Gli agricoltori europei, che costituiscono l’88% della filiera agroalimentare, guadagnano meno nonostante generino il valore aggiunto più elevato. D’altro canto, i distributori e le grandi catene di distribuzione, rappresentando solo il 9%, hanno un guadagno più alto con un valore aggiunto inferiore, esercitando un forte potere contrattuale a svantaggio degli agricoltori.
  • Debiti contratti per difficoltà burocratiche e finaziarie: le complessità burocratiche che causano ritardi sull’erogazione di aiuti e finaziamenti, stanno costringendo molte aziende al fallimento.
  • Burocrazia asfissiante: regolamenti e leggi complesse gravano sull’attività agricola.
  • Mancanza di assistenza tecnica aziendale: gli agricoltori lamentano la mancanza di supporto tecnico per affrontare sfide operative.
  • La conflittualità politica tra chi opera per salvaguardare le aree rurali e chi spinge per gli interessi delle grandi multinazionali.

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