QUANTO SIAMO INNOVATIVI NOI ITALIANI?

E’ risaputo come in Italia, ricerca ICT e innovazione hanno vissuto una crisi senza precedenti che ha aggravato le problematiche legate allo sviluppo tecnologico. Alcuni fattori più di altri hanno determinato questi ritardi, dalla presenza di poche grandi e medie imprese, all’acquisizione di molte aziende italiane innovative da parte di multinazionali straniere, alla difficoltà a finanziare l’innovazione e alla modesta percentuale di laureati, oltre che alla disparità tra nord e sud presente da sempre nel nostro paese.

Con le perdite di produzione e la riduzione degli investimenti che hanno colpito le imprese italiane, l’innovazione ha subito un drastico rallentamento nonostante  svariati tentativi di rilancio dell’ econonomia, dall’ estensione degli incentivi fiscali, alla strategia di specializzazione intelligente nazionale fino ai finanziamenti per le Università meritevoli.

Il Ministero dello sviluppo economico italiano nell’ambito delle nuove politiche per l’università e il programma industria 4.0 ha individuato le aree prioritarie su cui concentrare le risorse inizialmente nelle imprese già attive nell’innovazione digitale.

Successivamente il Mise ha cominciato a creare una politica a sostegno della ricerca in Italia e degli investimenti innovativi con l’obiettivo di aiutare le imprese ad acquisire le competenze tecnologiche per competere con gli altri paesi europei. Di recente sono stati creati dei fondi per aumentare la competitività di settori particolarmente colpiti dalla crisi sanitaria, come il fondo per l’imprenditoria femminile. Altri finanziamenti sono stati istituiti per il rinnovamento del comparto agricolo, tradizionalmente indietro sul versante tecnologico.

Ad eccezione di un gruppo relativamente piccolo di imprese innovative capaci di esportare all’estero i propri prodotti, l’imprenditoria italiana rimane comunque fatta da un certo numero di micro e piccole imprese con pochissime attività e scarsissima spesa in ricerca ICT. Il made in Italy è associato ad attività a bassa e media tecnologia rispetto ai principali Paesi dell’UE. In confronto alla Germania, i settori basati sulla scienza e la produzione di macchinari sono molto trascurati in Italia. Anche negli investimenti in ricerca e sviluppo l’Italia è in ritardo rispetto alle imprese tedesche, ma non solo: nei settori tradizionali le imprese tedesche investono molto di più delle imprese italiane. Il tasso di crescita del valore aggiunto reale in Italia, rispetto alla Germania, rappresenta un divario rilevante, data la relazione fra gli investimenti in ricerca e crescita e le capacità di fare imprenditoria di successo.

Di sicuro in Italia hanno influito le politiche di austerità che hanno colpito la spesa pubblica nel settore della tecnologia, ma il punto principale è che evidentemente i fondi per l’Università e gli enti pubblici e privati di ricerca e sviluppo non rientravano tra le priorità politiche degli ultimi governi, a partire dagli anni ‘80. Ciò è dimostrato dalla diminuzione del 19% degli stanziamenti pubblici per la ricerca avvenuta tra il 2008 e il 2016, mentre nel resto dell’Europa la situazione era ed è diversa. Tale riduzione della ricerca pubblica e delle attività universitarie ha corrisposto al periodo in cui i ricercatori italiani registravano un netto miglioramento della produzione scientifica, ad oggi in crescita. In questo il nostro Paese si trova in classifica davanti a Francia e Germania. Ma a causa del declino del sistema di ricerca pubblica, il successo scientifico italiano potrebbe essere solo temporaneo e svanire a causa del ridimensionamento del sistema pubblico. È anche per questo motivo che i ricercatori più giovani stanno emigrando all’estero, dove le opportunità di lavoro e i fondi di ricerca sono migliori e il merito è riconosciuto.

Il crollo delle risorse destinate alle università e il taglio dei fondi pubblici hanno portato alla riduzione delle iscrizioni nelle università italiane e tale indebolimento si ripercuote anche sull’istruzione universitaria. L’istruzione e la competenza dei lavoratori soffrono una struttura economica in cui prevalgono le tecnologie medio-basse, una modesta domanda di lavoro per laureati, una produttività stagnante e un divario notevole in termini di innovazione e competitività rispetto ai principali Paesi europei.

Questa situazione porta al precariato, ovvero all’adattarsi ad una competitività di prezzo basata su costi del lavoro sempre più bassi, al contrario della competitività tecnologica tipica dei Paesi europei più avanzati. Lo stesso divario si percepisce tra le regioni del nord e sud Italia, nella recessione che ha colpito in particolare le regioni del centro e del sud. Le attività di ricerca e sviluppo si sono concentrate infatti nelle regioni settentrionali più forti, ampliando queste disparità. Il tutto riduce la diffusione dell’economia e il trasferimento tecnologico alle imprese, impedendo una giusta diversificazione delle competenze e delle attività economiche e indebolendo il sistema di ricerca ICT italiano.

A livello europeo si discute sugli strumenti politici da adottare in Horizon Europe, successore del programma europeo Horizon 2020. L’idea è quella di proporre una nuova strategia basata su programmi di ricerca e innovazione che riflettano più ampie priorità economiche, sociali e ambientali. A livello internazionale, invece, le Accademie delle Scienze dei Paesi del G7 hanno prodotto la dichiarazione congiunta “Nuova crescita economica: il ruolo di scienza, tecnologia, innovazione e infrastrutture”. Gli obiettivi sono i seguenti:

Sono necessari livelli crescenti di investimenti pubblici e privati nel campo della scienza e della tecnologia per affrontare le sfide di una crescita sostenibile e inclusiva. I governi possono svolgere un ruolo importante nello stimolare la nuova domanda, attraverso programmi di ricerca pubblica mirati, appalti per i servizi pubblici e investimenti pubblici nelle infrastrutture. Per quanto riguarda le imprese, bisognerebbe incoraggiare gli investimenti con orizzonti temporali più lunghi, sostenendo anche progetti ad alto rischio, in modo che gli investimenti in scienza, tecnologia, innovazione e infrastrutture mostrino il loro contributo alla crescita, combinando investimenti privati e politiche pubbliche.

Investire in innovazione e ricerca ICT significa crescita e meno disoccupazione. Per raggiungere i traguardi già raggiunti da paesi come la Corea del Sud bisogna trovare le risorse adeguate e investire nel futuro. In Italia, ad oggi, manca quella spinta decisiva all’innovazione tecnologica e la soluzione è scommettere sui fondi ibridi, con capitale pubblico e privato. Questo è quello che è già avvenuto in Francia, dove le imprese vengono aiutate dallo stato e sostenute dal privato.

L’Italia rallenta la crescita perché è sempre meno propensa ad innovare e, per capire quanto incide l’innovazione sulla crescita di un paese, basta analizzare le stime comparative del rendimento degli Stati membri dell’UE e di alcuni paesi terzi nel campo della ricerca e dell’innovazione. L’ultimo quadro rivela che il rendimento innovativo dell’UE aumenta lentamente solo nei paesi con una maggiore crescita del PIL. L’Italia è definito un paese moderate innovator, con una bassa quota di esportazioni tecnologiche. In tempi di recessione, infatti, l’innovazione è tra i principali strumenti che determinano la competitività tecnologica e la competizione del capitalismo.

La crisi della situazione italiana nell’innovazione è dimostrata dal fatto che sono ancora pochi gli interlocutori pubblici e privati che rischiano il loro denaro per sostenere le 10 mila startup innovative presenti nel nostro paese. La situazione è quindi ben diversa rispetto a 40 anni fa, quando i brevetti e le invenzioni nel campo della meccanica, della chimica e della tecnologia andavano per la maggiore.

In un mondo che cambia con estrema rapidità, bisogna stare al passo coi cambiamenti e adottare strategie e politiche per innovare. Il cambiamento tecnologico porta ad un cambiamento esponenziale di fondo, si pensi all’intelligenza artificiale che consente di fare cose che prima sarebbero state impossibili e difficili da fare. Con gli stessi social network è cambiato il modo di comunicare, portando benefici alle persone. Una scarsa capacità di innovazione limita i futuri possibili e non aiuta a combattere la recessione e sostenere la crescita.

Nel 2019 il bando PRIMA, che promuove attività di ricerca e innovazione nel settore agrifood, ha stanziato circa 56 milioni di euro nel settore agrifood e nella gestione di risorse idriche, raddoppiando il finanziamento per progetti di innovazione e introducendo risorse economiche per la gestione efficiente delle risorse idriche, l’agricoltura sostenibile e la filiera agro-alimentare. I progetti selezionati dall’Horizon 2020 vedono la partecipazione dell’Italia che si è distinta per la qualità della ricerca e i risultati raggiunti, con il 33% dei progetti coordinati da un ente del nostro Paese e 34 progetti che vedono la partecipazione italiana, per un totale di 70 realtà coinvolte. 12 milioni andranno a ricercatori e innovatori italiani nel quadro dei tre ambiti tematici sopra elencati.

Si tratta di progetti che propongono soluzioni innovative per un uso alternativo delle risorse idriche e il miglioramento della qualità e della disponibilità di acqua, obiettivi ottenuti attraverso sistemi IoT, ICT e DSS di irrigazione. Le soluzioni proposte si adattano al cambiamento climatico e alla promozione di sistemi agroalimentari sostenibili, attraverso innovazioni genotipiche, promozione di pratiche di agricoltura conservativa, sistemi informatici ed analitici per il controllo e la risoluzione delle malattie infettive e da parassiti.

I progetti legati all’agroalimentare, invece, propongono soluzioni allo spreco alimentare e alla promozione di produzioni sostenibili e di qualità, attraverso la promozione di metodi di tracciabilità su diverse filiere produttive, imballaggi intelligenti in grado di estendere la freschezza e durata di prodotti alimentari e valorizzazioni innovative di filiere alimentari.

Sono state proposte anche delle piattaforme digitali e interattive per la mappatura e la valorizzazione delle migliori pratiche acqua-ecosistema-cibo. Il programma PRIMA rappresenta un’iniziativa strategica per l’Italia, per il Mediterraneo e per il settore agroalimentare.

La speranza è che questi progetti possano offrire delle soluzioni concrete alle sfide sociali, ambientali ed economiche del Mediterraneo grazie all’innovazione sostenibile nel settore agroalimentare. Dalla collaborazione tra ricerca, sviluppo, benessere sociale e cura dell’ambiente sarà possibile trarre beneficio per la società civile e i consumatori finali.

Dunque, in Italia il settore della ricerca e dell’innovazione tecnologica deve ancora ritrovare la strada giusta, dal momento che il livello degli investimenti, sia pubblici che privati, in rapporto al Pil è inferiore a quello degli altri stati UE, soprattutto nell’ambito high-tech.

Tra il 2008 e il 2017 si è registrato un incremento degli investimenti in ricerca e sviluppo nel settore privato e della produzione scientifica. Per il futuro bisogna attuare una trasformazione dall’interno dell’azienda, cambiando il modo di lavorare su più fattori, a partire dalla formazione. L’impresa ha bisogno dell’educazione, per preparare gli italiani ai lavori del futuro e prevedere quali saranno i lavori più ricercati in Italia tra 10-15 anni.

Nel settore energetico, invece, si parla di decarbonizzazione, economia circolare, efficienza, uso razionale ed equo delle risorse naturali. Gli obiettivi virano verso un‘economia più rispettosa delle persone e dell’ambiente, integrando i mercati energetici nazionali in un mercato unico, prestando attenzione all’accessibilità dei prezzi e alla sicurezza di approvvigionamenti e forniture.

Dal 2020 le imprese che investono in ricerca e innovazione hanno a disposizione 3 nuovi strumenti, senza discriminazione di settore e forma giuridica, grazie ad un credito d’imposta del 12% (del 6% per progetti di innovazione tecnologica) per la realizzazione di attività di ricerca e sviluppo e innovazione digitale 4.0. Il credito d’imposta sarà invece pari al 6% per attività di design e innovazione estetica. Il beneficio si calcola sul totale delle spese ammissibili e sono previsti dei limiti di spesa per le quote di ammortamento di beni materiali e consulenze.

Ricapitolando, tra le principali novità ci sono:

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *