CulturaEventi

Al via Taobuk, oltre 200 ospiti a Taormina

Riconoscimento anche al Premio Nobel Jon Fosse

Dal 20 al 24 giugno al via a Taormina la XIV edizione di Taobuk, il festival internazionale fondato da Antonella Ferrara, presidente e direttrice artistica, con il sostegno e il patrocinio della Regione Siciliana e di altre istituzioni e realtà, pubbliche e private. Oltre 200 gli ospiti che interverranno nelle varie sezioni per parlare di letteratura, arti, geopolitica e scienza. Celebri nomi dello spettacolo prenderanno parte a Taobuk Gala, che accoglierà al Teatro Antico la rosa dei premiati: per la letteratura il Premio Nobel Jon Fosse, Jonathan Safran Foer, per le arti visive Marina Abramovic; per la danza l’étoile Nicoletta Manni e il coreografo Moses Pendleton; per il cinema il premio Oscar Paolo Sorrentino, il regista Ferzan Özpetek e l’attrice Kasia Smutniak, per la musica leggera la cantante Noemi.

Taobuk Gala

Sabato 22 giugno la serata di gala, trasmessa da Rai 1 e condotta da Antonella Ferrara e dal giornalista Massimiliano Ossini. La colonna sonora sarà affidata all’Orchestra del Teatro Massimo Bellini di Catania diretta da Gianna Fratta. Tra gli altri ospiti delle cinque giornate il commissario europeo agli Affari Economici Paolo Gentiloni, il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, il ministro della Giustizia Carlo Nordio, il ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano, Fernando Aramburu, a cui sarà conferito il Taobuk Award, lo scrittore Glenn Cooper che torna in Italia dopo sei anni, il Presidente di Fondazione Maxxi Alessandro Giuli, il curatore di Biennale Architettura Carlo Ratti, gli economisti Carlo Cottarelli e Mario Monti, la scienziata Ilaria Capua, la scrittrice Stefania Auci, il direttore del Corriere della Sera Luciano Fontana, il giornalista Federico Rampini, il direttore del Giornale Alessandro Sallusti, la scrittrice spagnola Rosario Villajos. Il 23 giugno nel Teatro Antico andrà in scena il Tucidide di Alessandro Baricco. Il programma nel dettaglio del Taobuk

Jon Fosse: “La mia lingua, casa nel mondo”

Jon Fosse, premio Nobel per la letteratura 2023 sarà a Taobuk insieme a oltre 200 ospiti internazionali – scrittori, artisti, scienziati, intellettuali, politici ed economisti – che animeranno il cartellone della 14ª edizione del festival letterario internazionale dedicato quest’anno al tema dell’Identità. Fosse sarà insignito del Taobuk Award, un riconoscimento prestigioso che dal 2014, anno in cui è stato istituito, è stato conferito anche a Annie Ernaux, Svetlana Aleksievič, Mario Vargas Llosa, Orhan Pamuk, Olga Tokarczuk e che quest’anno sarà assegnato tra gli altri a Fernando Aramburu, Marina Abramović e Jonathan Safran Foer. La premiazione avverrà durante la serata di gala del 22 giugno al Teatro Antico di Taormina in occasione della conversazione pubblica con Antonella Ferrara. Il giorno precedente, il 21, Fosse sarà a Taobuk per un dialogo con Sabina Minardi, introdotto da Caterina Andò. Ecco un articolo di Jon Fosse in esclusiva per Gazzetta del Sud: “Nella mia mutevole vita ho vissuto in molti posti, e in numerosi paesi, ma sono cresciuto sul Hardangerfjord nella Norvegia occidentale. Si tratta di un paesaggio imponente, caratterizzato da alte montagne e fiordi profondi, dove riecheggiava instancabile il suono delle onde. Forse nella mia scrittura, come diceva James Joyce quando spiegava ciò che cercava di ottenere in Finnegans Wake, ho cercato di «subordinate words to the rhythm of water». In questa parte del Regno di Norvegia, la lingua chiamata nynorsk, neonorvegese, occupa una posizione centrale. L’ho imparata sin dal primo giorno di scuola e poi per tutti i tredici anni successivi fino a quando, terminato il liceo, ho iniziato gli studi universitari. Il nynorsk è la mia lingua. Eppure, mi chiedono spesso perché scrivo in nynorsk, la mia lingua, dal momento che viene utilizzato solo da un dieci per cento della popolazione norvegese, ovvero da circa mezzo milione di persone. Detto questo, devo subito aggiungere che il nynorsk e il bokmål, la lingua maggioritaria norvegese, sono strettamente imparentate e reciprocamente comprensibili, così come lo sono lo svedese e il danese, o potrebbero o dovrebbero esserlo per tutti coloro che vivono in Norvegia. Si potrebbe dire che il nynorsk e il bokmål sono due lingue o si potrebbe affermare, come fanno in molti, che essi rappresentano due varianti del norvegese, così come si potrebbe anche sostenere che le lingue scandinave sono una lingua, suddivisa in tre o quattro versioni: svedese in Svezia, danese in Danimarca, e bokmål e nynorsk in Norvegia. Fin qui, tutto bene. Da bambino e durante il periodo dell’adolescenza, il nynorsk era per me qualcosa di assolutamente naturale e scontato. Quando ho finito il liceo e mi sono trasferito a Bergen, ho capito subito che invece non era così. Lì imperava ovunque il bokmål e il nynorsk veniva guardato con disprezzo perché era considerato una lingua usata nei villaggi dove vivevano pescatori e contadini, una lingua che molti non gradivano, che addirittura aborrivano. In quel periodo avevo imparato che, quando qualcuno criticava la mia lingua, avevo due alternative: arrivare alle mani o andarmene. Argomentare a difesa della mia lingua era come argomentare a difesa della mia stessa esistenza. Come è possibile farlo? Nel corso di tutta la mia vita adulta ho vissuto con e del nynorsk. Ho iniziato presto a comporre poesie e a cimentarmi nella stesura di racconti brevi. Durante il liceo ho scritto un romanzo che nessuno ha letto, mentre a vent’anni è uscito quello che è stato il mio romanzo d’esordio, Raudt, svart (Rosso, nero). All’epoca avevo già cominciato a scrivere come giornalista per il giornale Gula Tidend, che in seguito venne chiuso, ma che allora era l’unica istituzione in nynorsk di un certo rilievo presente nella cosiddetta capitale della Norvegia occidentale, la città di Bergen. Da lì è stato un susseguirsi di libri e di opera teatrali. Scrivo pubblicamente in nynorsk da quasi cinquant’anni e lo faccio sia mentre vivo in Norvegia sia mentre vivo all’estero. L’intera e corposa Settologia è stata composta durante i sette anni trascorsi in Austria. La mia vita è stata contrassegnata da numerosi cambiamenti, dalla rottura di relazioni coniugali, da lunghi soggiorni all’estero, ma una cosa l’ho sempre portata con me, il nynorsk, la mia lingua. Nutro una certa titubanza nell’affermare che il nynorsk rappresenti l’elemento più pregnante di quella che potrei chiamare la mia identità. Forse perché non capisco del tutto cosa significhi questo concetto. Io non sono il nynorsk, ma, per dirla così, il nynorsk è sempre presente in me, ovunque mi trovi. Come lingua minoritaria, il nynorsk è una lingua a rischio, ecco perché credo che le abbia giovato molto, o almeno mi piace pensarlo, il fatto che io, come primo autore che scrive in nynorsk, sia stato insignito del Premio Nobel per la letteratura. Questo renderà, come è auspicabile, un po’ più difficile denigrare questa lingua e sarà un po’ più difficile per gli studenti delle scuole superiori bruciare i vocabolari di nynorsk, come alcuni gruppi giovanili politici hanno incitato a fare. E che è stato fatto, accendendo veri e propri roghi. Ma cos’è il nynorsk? Credo di dover fornire qualche indicazione al riguardo. Per molti secoli la Norvegia è stata una nazione indipendente, ma, per vari fattori, tra cui in primis la peste, il paese era così scarsamente popolato da diventare parte della Danimarca. Per questo motivo il danese era diventato la lingua scritta comunemente usata e in alcune aree della Norvegia la gente aveva iniziato a parlare come scriveva, creando in un certo senso le basi per lo sviluppo del bokmål. Il nynorsk ha visto i natali quando il filologo Ivar Aasen aveva viaggiato per l’intero paese allo scopo di raccogliere e acquisire ogni forma di sapere riguardante la lingua norvegese e su come essa veniva parlata su tutto il territorio nazionale. Aasen aveva scoperto che dietro ai vari dialetti c’era un sistema, per così dire una lingua norvegese, per cui aveva scritto un vocabolario e una grammatica al riguardo. In un certo senso, aveva recuperato la lingua norvegese. In seguito, i suoi canoni sono stati modificati e adattati al parlato contemporaneo. Di questa lingua che scrivo, o cerco di scrivere al meglio delle mie possibilità, esistono ovviamente varianti più tradizionali e più moderne, più o meno colte, ma tutte condividono fondamentalmente le stesse caratteristiche. Come il nynorsk ha molto in comune con il bokmål, a volte penso che il rapporto tra bokmål e nynorsk ricordi quello esistente tra il «Prager Deutsch» di Franz Kafka e il Hochdeutsch. Proprio basandosi su questa differenza linguistica, Deleuze e Guattari hanno sviluppato il loro concetto di «letteratura minore». Kafka è uno degli autori che stimo di più, e con questo non voglio assolutamente paragonarmi a lui, Dio me ne guardi, ma quando ho letto Kafka. Per una letteratura minore, ho pensato che molte delle considerazioni di Deleuze e Guattari si adattino sorprendentemente bene anche alla situazione di un autore che scrive in nynorsk, una lingua dotata di sue peculiarità e che si trova costantemente sotto pressione. È questa lingua, il nynorsk, che costituisce da sempre la mia casa nel mondo. Che per me è sempre stata la casa dell’essere, per citare Martin Heidegger, e io dimoro in questa casa, in questo luogo, a prescindere da dove mi trovi fisicamente. Se la lingua è, o conferisce, una sorta di identità, allo stesso tempo è proprio la lingua a trascendere l’identità – forse soprattutto nella scrittura, che incarna sempre un nuovo movimento, un nuovo ritmo verso l’altro, verso la non-identità, sì, verso il non-luogo. Per me, l’interessante non risiede in ciò ho scritto in precedenza – non amo rileggere qualcosa di mio che è già stato pubblicato, – ma in quello che sto scrivendo ora, o che scriverò. È il muoversi verso qualcos’altro, non lo statico, il rigido a definire l’identità o, più che d’«identità», si tratta, per così dire, del “ritmo dell’acqua”.      

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *