Approfondimento

Rothischild – The Legend

A seguito della recente scomparsa del Barone Jacob de Rothischild. un approfondimento sulla potente dinastia.

Nessuno in epoca moderna è stato più ricco di loro, nemmeno i “robber barons”, i magnati americani del petrolio, dell’acciaio, della moneta. Lo storico scozzese Niall Ferguson deve parte della propria fama a una ricerca d’archivio autorizzata finalmente dalla famiglia Rothschild; alla fine del volumone di 1.300 pagine pubblicato nel 1998, ha azzardato un confronto tra il patrimonio di Nathan Rothschild nel 1915, al culmine della sua fortuna e al tramonto della sua vita, e Bill Gates. Sia ai valori di allora, sia in rapporto al prodotto lordo mondiale, a quello dell’impero britannico ottocentesco o americano contemporaneo, il paragone è sempre a favore di Natty, come era chiamato l’esponente della freccia inglese, una delle cinque che campeggiano sul blasone della famiglia. Negli ultimi vent’anni l’aristocrazia del capitale è cambiata di nuovo, oggi è più difficile adattare le stime di Ferguson a Jeff Bezos o Elon Musk. Anche la rivista americana Forbes può pubblicare solo valutazioni approssimative; nell’epoca in cui comanda la finanza tutto è mobile fino all’eccesso, spesso evanescente. E proprio per sfuggire alle onde di questo oceano senza confini, i Rothschild hanno deciso di lasciare la borsa, la loro banca diventerà “privata” come si dice nel mondo anglosassone. Tutto in famiglia, sempre e solo in famiglia rispettando i voleri del fondatore.

“Persistenza, tenacia e continuità”, così la più longeva dinastia degli affari ha attraversato oltre due secoli, ha scritto lo storico David Landes. Hanno sfidato l’antisemitismo di tutta Europa, hanno posseduto miniere e pozzi di petrolio, si sono lanciati nelle ferrovie e nella grande industria, hanno comprato ville e castelli colmando d’invidia l’aristocrazia francese, inglese, germanica, producono vini bordeaux tra i più costosi ed eccellenti (Château Lafite per il ramo francese, Château Mouton per quello inglese), ma la banca è sempre stata il centro della loro attività. Prestare i quattrini ai potenti, investirli in mezzo mondo, trasformare in opportunità le sconfitte, gli errori (hanno capito in ritardo che l’America avrebbe surclassato l’Europa), mantenendo tre punti fermi: la radice etnica e religiosa, la famiglia, l’impegno a non disperdere le loro ricchezze. Da Nathan Mayer che si arrabattava nel ghetto di Francoforte mentre Napoleone varcava il Reno, fino ad Alexandre, sono passate sotto i ponti della storia ben sette generazioni. E anche la decisione di far uscire dal listino parigino Rothschild & Co, presa in questi giorni, risponde agli stessi immutati precetti.

Si chiama Concordia la cassaforte di famiglia dove vent’anni fa David de Rothschild ha unito i due rami principali, quello francese e quello inglese (è rimasta fuori la Edmond de Rothschild di Ginevra) per poi passare le redini al figlio Alexandre nel 2019. La holding possiede il 38,9 per cento della banca e ha deciso di acquistare il resto delle azioni con una offerta finanziata insieme ad altri investitori. Il business di famiglia è diviso in tre diversi rami: la consulenza in operazioni finanziarie e industriali, la gestione dei patrimoni e la banca d’affari. Nessuno di essi ha bisogno di attingere alla borsa, la grande macchina dei soldi è ormai una boutique finanziaria, anche se una delle prime, che si trova a operare in un ambiente particolarmente ostico. La fine della moneta facile rende tutto più complicato e il rischio di perdere la bussola può diventare troppo alto anche per i Rothschild che, pur attraversando divergenze, divisioni, conflitti interni, sono riusciti a tenere saldo il timone, anche dopo la tragedia che nel 1996 ha rischiato di rimettere tutto in discussione. 

Molto si sa su come è nata la fortuna di famiglia. Il nome trae origine dalla casa dove abitava in Judengasse, il vicolo ebraico (“zum Roten Schild”, allo scudo rosso). In Germania il capostipite Amschel Moses prestava quattrini al principe dell’Assia che si rifaceva affittando i suoi soldati a vari corti europee, suo figlio Mayer Amschel creò una banca e mise i cinque eredi maschi a capo di filiali nelle maggiori capitali europee. A Londra Nathan finanziò Wellington contro Napoleone, mentre a Parigi Jakob poi chiamato James puntava sulla Restaurazione, a Vienna Salomon sostenevano gli Asburgo, a Napoli Carl Mayer foraggiava i Borboni. Il ritratto di Betty (la moglie di James, suo zio) dipinto da Dominique Ingres, il salone dove si esibiva Gioacchino Rossini, vite trasformate in leggende, mentre il loro nome diventava il bersaglio dell’antisemitismo montante. Molto meno si è scritto sui tempi più vicini a noi, quando l’impero dei Rothschild ha rischiato di crollare con una morte misteriosa che ha aperto la strada a un altro cambiamento nella continuità. 

Facciamo allora un salto nel tempo, all’8 luglio 1996, e nello spazio, nel cuore di Parigi. Lì, nella suite dell’hotel Bristol, una cameriera scopre nel tardo pomeriggio il corpo di un ospite abituale e di tutto riguardo: Amschel Mayor James Rothschild. A 41 anni, alto, atletico, ancora correva in Formula 3 e si lanciava con il suo biplano in picchiate mozzafiato. Erede designato del ramo britannico, aveva sposato la bella Anita della famiglia Guinness (i re irlandesi della birra); viveva nella grande fattoria di Rushbrooke nel Suffolk e in apparenza non aveva nessuna ragione per togliersi la vita. Tanto che i primi a porsi sospettose domande sono i poliziotti parigini accorsi attorno alle 19.30. Steso sul pavimento della sala da bagno c’è il cadavere di Amschel, con la cintura dell’accappatoio attorno al collo, attaccata, dal lato opposto, a un reggi-asciugamani. Un agente dà uno strattone e l’anello si stacca dal muro. “Come diavolo si fa a strangolarsi con un accrocco del genere?”, si chiede. Gli investigatori cercano una lettera, una nota, un biglietto. Nulla. 

Conspiracy Nation (nomen omen) pubblica un dispaccio di Spotlight datato 5 agosto 1996, secondo il quale si trattava di omicidio. Rupert Murdoch in persona (così si dice) telefona ai direttori dei suoi giornali perché diano il minimo risalto possibile alla notizia, assicurandoli che si tratta di un banale attacco di cuore. L’inchiesta viene chiusa alla velocità della luce: probabile suicidio. I funerali si celebrano in forma privata. E cala il silenzio. Quella stessa mattina dell’8 luglio, in avenue Matignon, sede della banca d’affari Rothschild & Cie, si era tenuto un vertice. All’ordine del giorno, l’integrazione delle attività in una unica società, passaggio importante verso il progetto ideato dal barone David de Rothschild capo del ramo francese. Una sua idea fissa fin da quando aveva rimesso in piedi gli affari di famiglia colpiti dalla nazionalizzazione decisa dal governo di François Mitterrand nel 1981. David aveva speso tutte le sue capacità diplomatiche, tutto il suo charme e la sua forza di convinzione per far breccia sul cugino Evelyn che guidava il ramo britannico. Si trattava di siglare la grande pace: Londra, Parigi e poi anche Zurigo, tutti i Rothschild sotto uno stesso tetto, un gruppo in grado di rivaleggiare con i colossi americani, un balzo nella modernità tornando alle origini quando Mayer Amschel aveva lasciato detto di stare sempre insieme costi quel che costi. Lo aveva scritto nel suo testamento, l’aveva fatto imprimere nello stemma di famiglia, le cinque frecce legate insieme sotto il motto latino Concordia, Integritas, Industria. Nel 1836, alla morte del padre, i fratelli circondati ormai da decine di figli e nipoti, avevano stipulato un accordo valido anche per il futuro: la successione doveva essere diretta, niente cognati né parenti acquisiti. E i matrimoni avrebbero rispettato la tradizione ebraica. Era durato fino alla Grande guerra che aveva visto i Rothschild combattere l’uno contro l’altro, tedeschi e austriaci su un fronte, francesi e inglesi sul fronte opposto. Il nazismo e l’Olocausto avevano segnato la persecuzione e la diaspora. Dopo la Seconda guerra mondiale, ciascuno per la propria strada. 

La dinastia si divide in tre: inglese, francese e svizzera. I Rothschild inglesi creano una banca dalle molteplici attività, con centinaia di dipendenti. Il legame con i Tory, che risaliva all’ottocento, si stringe anche con Margaret Thatcher. I francesi mantengono il loro atelier, una società in accomandita i cui soci si riuniscono al mattino nella storica sede di rue Laffitte dove si era installato James nel 1818. Mai prima delle dieci, come raccomanda il barone Guy secondo il quale un gentiluomo non deve essere in ufficio prima di quell’ora e non deve restare dopo le 16. I Rothschild avevano combattuto contro i nazisti con la France libre e da allora avevano un buon rapporto con Charles de Gaulle, anche se il generale non li amava. Finché un brillante dirigente della banca, Georges Pompidou, non decide di entrare in politica e il Generale lo sceglie niente meno che come proprio delfino. La grande modernizzazione impressa al paese dopo i tumulti del maggio ’68 lancia i Rothschild in grandi operazioni che vanno al di là della gestione del patrimonio degli ultra-ricchi nel quale si erano specializzati. Sembrano rinverdirsi i tempi in cui erano i banchieri favoriti di Luigi Filippo d’Orleans. Ma arriva al governo l’Union de la gauche, nazionalizza grandi industrie e grandi banche private; quella dei Rothschild è una delle prime. La famiglia riceve un indennizzo in base al valore di mercato, tuttavia viene interdetta dal mestiere di banchiere. “Giudei sotto Petain, paria con Mitterrand, ne ho abbastanza”, sbotta il barone Guy. 

Riprendersi non sarà facile e l’impresa si deve tutta al figlio David. A 40 anni, decide di ripartire da zero. Insieme al cugino Eric e una società finanziaria, la Paris-Orléans, sfuggita alla nazionalizzazione, ricomincia dal mestiere classico: la gestione dei patrimoni. “Ci sono al mondo sette milioni di persone che hanno più di un milione di dollari liquidi. E lì ci siamo noi”, dice David. Deve fare i conti con le ambizioni dell’altro cugino, Edmond, il più ricco della casata francese, il quale non ci sta, se ne va per proprio conto con la sua Compagnie Financière Edmond de Rothschild. In molti, poi, inarcano le sopracciglia di fronte al fattore umano: David sarà capace di tanto compito? Protagonista delle cronache mondane, ama i piaceri della vita. I suoi sigari avana si chiamano, non a caso, Epicure n. 2. E’ un ebreo poco osservante, anche se siede, sulle orme del padre, alla presidenza del Fondo sociale ebraico unificato e non va mai in ufficio il giorno dello Yom Kippur. Ha sposato Olimpia Aldobrandini, nome della più antica nobiltà papalina, cattolica. I coniugi hanno raggiunto un compromesso: al figlio Alexandre una educazione ebraica, le tre figlie seguiranno la madre (tanto mai una donna ha comandato in Casa Rothschild). Piccolo, i capelli grigi, con una leggera pinguedine, lo sguardo acuto e la bocca curvata in una piega ironica, David ama il consenso, non tratta i collaboratori dall’alto in basso, non ha l’aria del finanziere d’assalto. Ha cominciato gli studi a New York dove la famiglia si era rifugiata durante la guerra, li ha conclusi a Parigi nella illustre Sciences-Po. La finanza l’ha appresa dal vivo, accanto al padre Guy. E ha dimostrato di padroneggiarla da maestro.

Nei primi anni 90 il rilancio della Maison è ormai compiuto e David suscita l’ammirazione di sir Evelyn, il cugino britannico che occupa una posizione di preminenza nel clan. Nato nel 1931, presiede la Nm Rothschild & Sons. Per 85 anni fino al 2004 ha mantenuto un privilegio, un gioiello incastonato nella storia: il fixing del corso mondiale dell’oncia d’oro che un tempo regolava l’intero sistema monetario mondiale e ancor oggi rappresenta un barometro di primaria importanza. La cerimonia che si ripete sempre uguale a se stessa due volte al giorno, era gestita dalla Nmr per conto della Banca d’Inghilterra, finché i Rothschild non hanno mollato. Nel 1992, Evelyn chiama David nella Old Court e comincia ad osservarlo da vicino. Anche se di taglia ben maggiore, la cugina londinese batte la fiacca rispetto alla cugina parigina che macina profitti e successi. “E’ una Rolls Royce guidata come una Mini”, dicono nella City. Evelyn era stato scelto come capofamiglia da suo zio Victor che lo riteneva più capace di gestire gli affari della House rispetto a Jacob, il figlio avuto dal primo matrimonio, il quale se la prende e accusa di essere vittima di un putsch fomentato dal proprio padre. Quanto a Nathaniel, figlio di Jacob, viene tagliato fuori dalla successione negli affari di famiglia, nonostante si sia fatto solide ossa tra i pescecani di Wall Street. Resta il fratellastro Amschel, di dodici anni più giovane, il quale, tra le due schiatte in cui si dividono i Rothschild, cioè i finanzieri e i gentiluomini di campagna, apparteneva senza dubbio alla seconda. 

Victor muore nel 1990 e sulle spalle di Amschel cade una responsabilità accettata per dovere verso la casata più che verso se stesso. Mentre sir Evelyn manifesta chiaramente la sua predilezione verso il cugino francese David. Nonostante la conclamata Concordia, le due banche si erano distinte persino nel simbolo. Delle cinque frecce legate insieme, quella francese puntava verso l’alto, quella inglese verso il basso, così si sentiva dire. Torniamo così a quel summit dell’8 luglio 1996. E’ probabile che Amschel abbia visto nella decisione di fondere i tre rami sotto la guida francese una sorta di sentenza negativa nei suoi confronti? Niall Ferguson glissa sul suicidio. E’ un segreto ben custodito. Comunque, Evelyn era stato chiaro già quattro anni prima, quando aveva dichiarato al Monde: “Se succede qualcosa a me, c’è David; se capita qualcosa a lui, c’è Amschel. Lavorare come una sola famiglia è sempre stato il nostro marchio di fabbrica”. Casa Rothschild è stata ed è ancora una scuola di finanza e di politica, a Parigi s’è fatto le ossa Emmanuel Macron che ha poi seguito le orme di Pompidou all’Eliseo. In Italia ospita manager e banchieri di lungo corso. Basta il nome per rendere autorevoli, un patrimonio che Alexandre vuol preservare: “Non si può essere incinta solo a metà”, dice al Financial Times, così alza lo scudo rosso e chiude la porta del castello convinto che in ogni caso un Rothschild non resterà mai isolato.

Tratto da ( Il Foglio

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