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Alessio Planeta: «Il Ponte non serve, la Sicilia può davvero vivere di bellezza, agricoltura e turismo. Ecco come»

Di Ombretta Grasso 

Se nel vino sta la verità Alessio Planeta è il miglior enologo del mondo. E’ stato appena incoronato a Miami “Winemaker dell’anno” dalla rivista americana Wine Enthusiast, riportando il premio in Italia dopo 16 anni. Riconoscimento alla Sicilia e a una delle aziende che ha guidato la rivoluzione riempiendo il calice di un’Isola millenaria e cosmopolita, elegante e passionale, che valorizza storia e territorio. «Siamo contentissimi, è un premio per tutto il team – sottolinea – il nostro è un grande lavoro di squadra in cui c’è anche tanta famiglia e orgoglio perché il premio va anche alla Sicilia, a una regione che conquista sempre più visibilità in un mercato cruciale come quello americano».

Un’isola di bellezza

Il paesaggio è la storia. E al centro del Mediterraneo è disegnato da viti e ulivi. Alessio Planeta vive alla Capparrina, 200 ettari di uliveto e macchia mediterranea sul mare, un’isola di bellezza. Il suo ultimo progetto è Serra Ferdinandea, azienda agricola biodinamica con la famiglia francese Oddo. «La continuazione di un percorso evolutivo ma anche un tornare indietro, alla campagna di una volta. Cento ettari a Sambuca dove ci sono vigna, cereali, legumi, fichi, pascoli, api nere sicule».

La Sicilia è terra di vino e olio, un altro tesoro.

«Da anni ripeto a tutti gli assessori che incontro che noi siciliani dovremmo estirpare un po’ di vigneti e piantare olivi perché l’olio non è sufficiente. Il 50% della produzione mondiale è in Spagna ma le ultime annate di siccità hanno creato un calo, una tensione incredibile sul prezzo e forse più consapevolezza nel consumatore. L’olio sta seguendo il percorso del vino di 30 anni fa. L’olivo ha un impatto straordinario nel segnare il paesaggio. E’ il Mediterraneo. Ed è una pianta sempreverde, la migliore alleata contro il riscaldamento globale».

Gli agricoltori vanno fino a Sanremo per protestare.

«C’è un malcontento profondo. Bisogna reagire e capire qual è l’anima dell’agricoltura siciliana. Credo nei prodotti di qualità e non commodity, materia prima. Non possiamo competere con il grano dei canadesi o delle piane dell’Ucraina ma possiamo competere con la pasta. Dobbiamo verticalizzare e valorizzare la Sicilia alla quale si riconosce una centralità nel Mediterraneo. Andare direttamente sul mercato senza intermediare e farsi pagare la qualità insuperabile di alcuni nostri prodotti, come gli agrumi o alcune varietà di grano».

Vi siete lanciati anche nel turismo.

«E’ stata la logica evoluzione di quello che già facevamo, ospitavamo i clienti in modo familiare con la cucina delle nostre mitiche zie. Abbiamo capito che c’era un turismo che metteva insieme vino, olio, buona cucina, archeologia, città d’arte, mare. Un settore cresciuto moltissimo, la Sicilia ha una straordinaria opportunità».

La serie Usa “White Lotus”, girata anche nella vostra cantina, ha provocato un boom.

«Una scena è bastata a portare tantissimi visitatori. La serie ha alzato di molto l’asticella. Forse noi siciliani non ci siamo mai raccontati tanto bene. Credo che si debba puntare su un turismo di alto profilo, non si può fare concorrenza a Sharm el Sheikh. Rocco Forte, con il Verdura e Villa Igiea ha aperto la strada. Come il Four Seasons a Taormina, che negli ultimi mesi è molto cambiata. All’Isola si riconosce una qualità intrinseca in quello che fa. Quando parlo di Sicilia la prima cosa che mi dicono è che la qualità della vita, del cibo, è eccezionale. Pur con tutti i nostri difetti».

Quali dobbiamo iniziare a cambiare?

«Violentiamo continuamente il territorio, la gestione dei rifiuti è un problema gigantesco. Manca una campagna culturale. Sembra banale dirlo, ma come si fa a pensare di venire a visitare una città e trovarla coperta di immondizia? Vedo con positività la Sicilia del futuro, ma certamente su queste cose bisogna intervenire. Non c’è una visione. Qual è il disegno più ampio di questa isola? Ci stiamo riempiendo di pale eoliche e pannelli solari così come in passato ci siamo riempiti di raffinerie. Dobbiamo tutelare il nostro paesaggio, serve subito un piano energetico regionale. A Vendicari, ad esempio, c’è il progetto di un parco di pannelli solari, ma non può essere un cittadino, una piccola associazione a contrastare una multinazionale che vuole mettere una pala di trecento metri a due passi da casa. Ci deve essere un disegno regionale. Dobbiamo essere il polmone energetico di tutta Italia? Si può fare in un altro posto, non accanto a una riserva».

Ha detto che il Ponte sullo Stretto non è prioritario.

«Mi sembra un colosso di Rodi, quelle figure apotropaiche che segnano l’ingresso in un luogo. Gigantesche ma fini a se stesse. Non credo che la mobilità del futuro passi dal Ponte. I turisti scelgono l’aereo e le merci viaggiano sul mare. Non è un’opera cruciale servono infrastrutture, strade, ferrovie… la Palermo-Catania cade a pezzi e si devono completare la Caltanissetta-Agrigento e la Siracusa-Gela, assi viari vitali».

Cosa cerca il turista?

«La Sicilia originaria, quella che dobbiamo tenerci strettissima. La nostra isola è uno dei pochi posti veri, autentici, perché il turismo dei grandi numeri schiaccia tutto. Che si possa vivere di agricoltura e turismo sta diventando realtà, ma non possiamo imbruttire il paesaggio, c’è una contrapposizione folle tra quelli che ritengono che tutto sia possibile in virtù di una terra che deve redimersi, deve dare lavoro, e chi invece dice no a tutto. Il buon senso latita. Abbiamo avuto la fortuna di nascere in Sicilia, cerchiamo di meritarlo».

I siciliani non ci credono abbastanza?

«Ci crediamo, ma a volte diamo per scontata la bellezza che invece dobbiamo curare. Da vent’anni invito a comprare una casa in un piccolo paese siciliano, magari a pochi chilometri dal mare. A Sambuca il progetto delle case a un euro ha portato lavoro, turisti e ha ripopolato il borgo dando una lezione di orgoglio che ogni tanto si smarrisce. Prima di costruire possiamo ristrutturare e rivalutare il patrimonio che abbiamo. Se tutti vogliamo un po’ più di bene alla Sicilia le cose poi funzionano».

E qui un brindisi augurale ci sta proprio bene.

I progetti: un wine bar all’aeroporto di Palermo e un tour negli orti botanici con La Segreta

Planeta dal 1995 è guidata da Alessio (ad dell’azienda agricola), Santi (che segue le vendite) e la cugina Francesca (che si occupa dell’ospitalità), 371 ettari di vigneto, sette cantine, 2,3 milioni di bottiglie. Produce olio d’oliva biologico nella tenuta della Capparrina a Menfi, 200 ettari di uliveto sul mare con 50 mila piante. Con Ab Insula distribuisce i prodotti dell’azienda biodinamica Serra Ferdinandea e i vini della storica tenuta Castello Solicchiata, ad Adrano, antica e pioneristica realtà viticola etnea della famiglia Spitaleri. Fra qualche mese aprirà un wine bar all’aeroporto di Palermo e sta progettando una nuova struttura ricettiva. Pochi giorni fa ha presentato il restyling del suo primo vino, La Segreta. «Un modo per raccontare o la nostra attenzione alla sostenibilità, con vini certificati in biologico e Sostain – spiega Alessio Planeta – L’immagine, in collaborazione con lo studio Rovai Weber è stata ispirata dal meraviglioso erbario picto del 1811 di Giuseppe Riggio, farmacista e botanico di Acireale. Vogliamo dare un’immagine di bellezza della Sicilia con un tour di presentazione negli orti botanici partito da quello di Palermo, uno dei più belli del mondo, che farà tappa ai Kew Gardens di Londra, a Brooklyn e in Giappone».

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