IL DIRITTO DEGLI AGRICOLTORI – IL PUNTO DELLA SITUAZIONE
Che chi lavora in campo agricolo sia lasciato solo, tra prezzi di vendita della materie prime irrisorie e burocrazia infernale, è vero, ed è vero da anni, ma cosa sta succedendo oggi in Europa? Le lamentele degli agricoltori si rivolgono alle misure della PAC, Politica agricola comune, e in particolare alle norme relative alla salvaguardia ambientale, ma come è possibile che il Green Deal, che è la soluzione al problema, venga scambiato con la causa del problema e che lo scontro venga banalizzato riducendolo ad agricoltori contro ambientalisti?
Le valenze della questione sono molteplici, le proteste vengono strumentalizzate in vario modo, ma quello che è certo è che a perderci oggi sono gli agricoltori insieme ai cittadini, costretti entrambi a vivere in un sistema che affama tutti, i contadini senza futuro, costretti ad una catastrofica produzione intensiva che non dà frutti economici, e i cittadini affamati di cibo di qualità, costretti a nutrirsi di prodotti malsani e a vivere in una ambiente sempre più nocivo. Chi ci guadagna dunque? E come si può cambiare un sistema che, così, non può avere futuro?
Cosa sta succedendo in Europa? Contadini e ambientalisti non dovrebbero essere sullo stesso fronte nella necessità di proteggere l’ambiente più?
Dovrebbero, ma il problema è che non bisognava arrivare a questo punto, non bisognava lasciar crescere la rabbia nel settore primario che è in sofferenza da tanti anni. È vero che è il settore che riceve la fetta più grande dei sussidi europei, però ci si dimentica che questi sussidi arrivano a una minoranza di grandi aziende, con tutti gli altri che lavorano in perdita, travolti dalla burocrazia e stritolati dai prezzi della grande distribuzione. La moria di piccole aziende è allarmante. Ci sono stagioni in cui i contadini ci segnalano che non raccolgono la frutta perché non ripagano i costi della mano d’opera. Molte azienda faticano non dico a guadagnare, ma a coprire i costi, e lo stesso vale per gli allevatori. Abbiamo assistito negli anni passati alle proteste dei pastori sardi: gettare in strada del latte di pecora munto a mano significa essere alla disperazione ma tutto questo è stato ignorato per decenni e si è arrivati a una situazione di rabbia e di tensione in cui sta succedendo tutto e il contrario di tutto. Si parte da un disagio vero e si indirizza le lamentele a un bersaglio sbagliato. Il Green Deal è il bersaglio sbagliato perché se non si difende la fertilità del suolo gli agricoltori saranno le prime vittime. Il rispetto per la terra dovrebbe essere alla base dell’agricoltura, ma questo vale solo per alcuni agricoltori virtuosi, perché l’agricoltura industriale continua a rincorrere le rese e la riduzione dei costi. Impattano l’ambiente e comunque faticano anche loro e via via che decrescono i sussidi europei non ce la faranno più. Questa però è una verità che non conosco solo io, è una cosa nota, che tutta la politica conosce.
Il cambiamento andava accompagnato, ora in una situazione di rabbia qualunque intervento, anche il più giusto, diventa una miccia esplosiva se non è spiegato e non è compensato, se non viene detto, “va bene lascia a riposo i campi, fai le rotazioni, ma il tuo frumento lo paghiamo il giusto”. Se arrivano solo richieste e nessuna risposta al disagio che esiste si innesca uno scontro di civiltà, gli ambientalisti da una parte gli agricoltori dall’altra, l’Unione Europea da un lato e dall’altra la politica che strumentalizza a fini elettorali la protesta. Il disagio parte da ragioni profonde, non si può ridurre ai contadini che non pagano le tasse, ricevono i sussidi, inquinano e non vogliono le norme ambientali. Questa narrazione è figlia di una visione miope che non guarda a cosa c’è dietro. Ho riletto una frase dell’ambientalista Alexander Langer, che diceva “la transizione ecologica sarà prima di tutto sociale, o non sarà” e ha ragione, la transizione ecologica prima di tutto deve essere sociale, invece l’agricoltura è stata veramente abbandonata, perché semplicemente non interessava a nessuno, perché rappresenta una fetta minima dell’elettorato, gli occupati del settore agricolo rappresentano solo il 3-4 %. Eppure da quella piccola fetta arriva tutto il nostro cibo
Questo è un sistema in cui di certo non ci guadagnano gli agricoltori. Il fatto è che l’agricoltura industriale si basa su sementi, pesticidi e fertilizzanti che sono venduti nella grande maggioranza da grandi multinazionali. Io credo che alla fine ci guadagnino solo le grandi multinazionali che hanno in mano più del 70% delle sementi, ma anche la genetica animale, la grande distribuzione, persino il trasporto degli alimenti. I grandi gruppi finanziari e multinazionali sono gli unici a guadagnare dall’agricoltura industriale e dagli allevamenti intensivi. Tutti gli altri, contadini, allevatori e consumatori ci perdono.
La soluzione?
In verità non c’è una soluzione ma le soluzioni. Intanto bisogna assolutamente disinnescare questo conflitto, bisogna dialogare con il mondo dell’agricoltura, sostenerlo e accompagnarlo per fare una transizione ecologica sì, ma supportata. Dall’altro lato bisogna sensibilizzare i consumatori perché se i consumatori riconoscono il valore dei prodotti fatti nel rispetto dell’ambiente e pagati il giusto allora il circolo diventa virtuoso. Vuol dire lavorare da una parte sull’educazione alimentare, dall’altra sostenere i produttori virtuosi che oggi non hanno nessun vantaggio, ma solo svantaggi. Lo fanno per passione, magari perché sono legati a quel territorio di montagna, per salvare una particolare razza, hanno una serie di motivazioni morali e emotive, ma non hanno un riconoscimento economico e sociale per quello che stanno facendo. Pensi a tutti i pastori, un lavoro che spesso viene quasi deriso, eppure la montagna si regge sul lavoro dei pastori, sulla cura dei prati e dei boschi che la rendono accessibile anche ai turisti. È un lavoro decisivo ma non viene riconosciuto: dove c’è un pastore non scoppiano incendi, non ci sono frane ma nessuno glielo riconosce. Ci siamo occupati di un pezzo d’Italia e ci si è dimenticati della politica del territorio interno che rappresenta il 70 % del nostro territorio».
Esiste poi un problema di cattiva gestione di economia domestica figlia dell’ era industriale che permane in molte sacche della società e delle comunitaà meno sviluppate orientata al consumisme sfrenato con un impressionante sprerco di cibo ed una preoccupante dell’obesità. Questi sono già due elementi che se cambiassero ci permetterebbero di comprare meno e pagare il giusto i prodotti. Invece compriamo sempre di più prodotti iper processati, prodotti pronti, le fettine di prosciutto nella plastica, la zuppa già fatta, l’uovo sbattuto comprato confezionato. L’insalata confezionata al chilo costa 10 volte il cespo di insalata. In realtà compriamo e paghiamo plastica, grassi, aromi e conservanti e poco più. Forse sarebbe meglio pagare il giusto una verdura fresca, un formaggio di alpeggio, un pane fatto per bene che ti dura una settimana e non un pane scadente che il giorno dopo va buttato via. È un problema di cultura prima che di economia.
esiste poi il problema dell’ allevamento. L’allevamento intensivo è un tassello importante che va messo in relazione alle monocolture per produrre i mangimi, che sottraggono spazio ad altre coltivazioni. I consumi di carne sono aumentati in modo straordinario negli ultimi cinquanta anni ed è un problema di salute, di benessere per gli animali, e di crisi climatica perché l’allevamento ha un impatto importante in termini di Co2, di polveri sottili, deiezioni che finiscono nelle falde e di antibiotico resistenza. Se questo è vero.. diversamente tutti di dimenticamo come esiste una sostanziale differenza tra metodi di allevamento intensivo ed estensivo e che oggi la crisi del mercato interno penalizza più l’ agricoltura tradizionale guardiana del territorio piuttosto che quella di carattere industriale.
L’ Italia è un Paese politicamente miopie poichè alla stessa politica mancata una visione del presente e del futuro. Bisogna avere una visione complessiva per capire dove sta andando il paese e guidarlo. Fa tutto parte dello stesso discorso, non se ne può prendere un pezzetto, solo gli allevatori, solo i terreni a riposo, solo il gasolio, bisogna mettere tutto insieme. Ed è solo la politica che può mettere tutto insieme. Anche in questo caso il tema non è fare la guerra agli allevatori e metterli alla berlina, il tema è come facciamo a convertire il settore perché diventi sostenibile e certamente la farina di grilli e la carne sintetica non sono soluzioni.
Serve lungimiranza.